Loose Balls

Ralph Sampson, il colosso d’argilla

Ralph Sampson (Private collection, print, unknown photographer or credits)

Forse Ralph Sampson non era un colosso nel senso completo del termine, persona di grande mole e statura, ma la citazione dal titolo del film Il colosso d’argilla (The Harder They Fall, 1956) con protagonista Humphrey Bogart era irresistibile. Sampson era troppo magro per essere un colosso, ma la sua carriera, e le sue gambe, sono state sicuramente paragonabili all’argilla. Alto 7-4 piedi, circa 224 cm, per 100 chili di peso, deliziò gli appassionati di pallacanestro statunitensi, e non solo, per tutta la durata del suo quadriennio al college presso University of Virginia, vincendo il prestigioso Naismith College Player of the Year per ben tre volte, impresa riuscita in precedenza solo a Bill Walton di UCLA (entrambi record mai battuti).

He’ll revolutionize the game
John Lucas

Ralph Lee Sampson nasce ad Harrisonburg, Virginia, il 7 luglio del 1960. I primi passi nella pallacanestro li muove nelle scuole della sua città, e già alla high school il suo nome “rimbomba” per tutti gli States. In brevissimo tempo crebbe da 6-7 a oltre 7 piedi svettando come un gigante sulla testa degli altri liceali. Con la Harrisonburg High vince due volte il titolo statale, 1978 e 1979, terminando l’ultima stagione con 30 punti, 19 rimbalzi e 7 stoppate di media (dopo un secondo anno da oltre 14 punti e 11 rimbalzi di media e 19 punti e 17 rimbalzi nell’anno da junior). Il giovane Ralph non è solo alto, ma è anche dotato di una grande agilità e buoni fondamentali, cosa che lo rende assolutamente immarcabile a quel livello. Nel suo anno da senior arrivò secondo al premio di High school player of the year, vinto da Sam Bowie, altro centro molto quotato all’epoca. Tuttavia, poco tempo dopo, si vendicò su Bowie nel Capital Classic – partita tra i migliori liceali d’America – battendolo nettamente.  Nella partita, ricordata come “Battle of the Giants”, mise a referto 23 punti, 21 rimbalzi e 4 stoppate.

Ralph & Pat (Sports Illustrated, 29 novembre 1982)

Nel 1979, quando deve decidere dove andare al college, ha solo l’imbarazzo della scelta ma preferisce riminare a “casa” e frequentare University of Virginia. Con i Virginia Cavaliers conquista un titolo del  NIT – National Invitation Tournament – nel 1980, e nel 1981 – nel suo anno da sophomore – conduce Virginia alle Final Four, dove i Cavaliers furono sconfitti in semifinale dai più quotati Tar Heels di North Carolina. Quei Cavaliers, durante i quattro anni di Sampson, ottennero buoni piazzamenti nella ACC (Atlantic Coast Conference), senza però mai dominare come avrebbero potuto.
Sampson è stato uno dei collegiali più reclutati e scoutizzati della sua generazione, e anche durante la sua esperienza universitaria la copertura mediatica su di lui fu imponente. Apparve sulla copertina di Sports Illustrated per ben sei volte in meno di quattro anni (17 dicembre 1979, 1 dicembre 1980, 30 Marzo 1981, 29 novembre 1982, 20 dicembre 1982 e il 31 ottobre 1983), un onore senza precedenti.

Ralph Sampson (Sports Illustrated, 31 ottobre 1983)

Con l’avvicinarsi al draft del 1983 gli addetti ai lavori predissero grandi cose per il futuro di Sampson nella NBA, e la sua scelta alla posizione numero 1 era pressochè scontata. Le premesse non furono disattese e con la prima chiamata assoluta fu scelto dagli Houston Rockets, squadra che aveva terminato la stagione con un record negativo di 14 vittorie e 68 sconfitte. La sua prima stagione NBA fu di livello assoluto: 21 punti, 11 rimbalzi, oltre 2 stoppate a partita, il premio di Rookie of the Year e la partecipazione all’All Star Game. Houston, che era stata affidata ad un nuovo coach, Bill Fitch al posto di Del Harris, migliorò il suo record (29-53) pur terminando ancora la stagione come ultima nella Midwest Division e quart’ultima nella lega.

Akeem & Ralph (The Sporting News, 11 marzo 1985)

Le Twin Towers
Gli Houston Rockets potendo avvalersi di una lotteria favorevole ottennero la prima scelta assoluta anche l’anno seguente, quando si affacciò nella NBA una promettente classe di nuove reclute. Il Draft del 1984 è ricordato come uno dei più ricchi di talento nella storia della lega, e i nomi che spiccavano maggiormente erano quelli di Akeem Olajuwon (in seguito aggiunse la H al nome), Michael Jordan, Charles Barkley, Sam Perkins e Sam Bowie. Il trend di allora consigliava sempre di scegliere un lungo – un Big Man – se era disponibile, così l’allora general manager texano, in accordo con Bill Fitch, scelse Akeem Olajuwon (7-0), nigeriano da Houston University, nonostante avessero già un lungo dominante nel roster. La scelta fu criticata da molti addetti ai lavori, non tante per le qualità di Olajuwon, quanto per la possibile compatibilità dei due lunghi in campo. Sulla carta erano due centri puri, anche se con alcune caratteristiche complementari. Nacquero così le “Twin Towers”, e con loro un nuovo sistema di gioco che avrebbe costretto gli avversari a doversi ingegnare per provare ad arginare le due “lunghe” stelle texane. L’idea di Fitch era rivoluzionaria per i tempi: far giocare l’agile Sampson (224 cm) nello spot di ala grande e Olajuwon (213 cm) in posizione di centro. Il progetto però diede buoni risultati fin da subito, e il duo produsse un grande impatto e cifre importanti – entrambi oltre 20 punti e 10 rimbalzi di media – che valsero ai Rockets il tanto agoniato accesso alla post-season. Nel giocare al fianco di Olajuwon Sampson non snaturò la sua identità cestistica, piuttosto talvolta era possibile ammirarlo, come point guard aggiunta, portare palla con una destrezza impensabile per un 7 piedi. A livello personale Sampson vinse il titolo di MVP all’All Star Game di Indianapolis.

The Rockets are “the new monsters on the block”
KC Jones

Nella stagione 1985/86 i Rockets, con le “due torri” sempre più devastanti, e ben coadiuvate da un buon collettivo – in cui spiccavano John Lucas, Robert Reid Rodney McCray -, sono ormai un team che punta in alto. Dopo aver chiuso la regular season con un record di 51-31, sono pronti per affronatre al meglio i play-off. In sequenza si sbarazzano dei Sacramento Kings per 3-0, dei Denver Nuggets per 4-2, fino ad approdare alla finale di conference contro i temibili Los Angeles Lakers.

Anche la pratica-Lakers fu però archiviata per 4-1, con l’ultima gara della serie chiusa grazie ad un incredibile canestro di Sampson. Fu un buzzer beater, una sorta di gancio al volo, spalle a canestro, marcato da Kareem Abdul Jabbar. Per Ralph Sampson è l’apoteosi, e anche se la finale fu persa contro i Boston Celtics di Bird, McHale e Parish, le twin towers di Houston sembrano essere il futuro della NBA.

Purtroppo nel momento in cui sembrava che Houston potesse continuare a recitare il ruolo di contender per gli anni a venire, le ginocchia di Sampson si scoprirono fragili e martoriate da cronici problemi. Nella stagione successiva, 1986/87, riuscirà a giocare solo 43 partite, fornendo prestazioni in calo rispetto al passato. A metà della stagione seguente un frustrato Bill Fitch convinse la dirigenza dei Rockets a cederlo ai Golden State Warriors in cambio di Joe Barry Carroll e Sleepy Floyd (nella trade entrò anche la guardia Steve Harris). Nella stagione 1987/88, giocò 29 gare riuscendo a stare in campo per 33 minuti di media. Partì titolare per 25 volte, e produsse più che discreti numeri (15,4 punti e 10 rimbalzi di media) ma la squadra finì la stagione con un misero record di 20-62. L’anno successivo i Warriors migliorarono in modo esponenziale e raggiunsero i play-off ma l’apporto di Sampson tuttavia calò drasticamente. Per lui solo 6,4 punti e 5 rimbalzi giocando poco più di 15 minuti a partita.

Nel corso dell’estate fu scambiato con Jim Petersen e approdò ai Sacramento Kings, dove con un ruolo marginale giocherà 51 partite in due anni con 4,2 punti e 3 rimbalzi di media. Rilasciato dai Kings ottenne un contratto decadale con i Washington Bullets prima di essere nuovamente rilasciato. Nel 1992 giocò 8 partite a Malaga, in ACB (Spagna), e dopo due anni di assenza dai parquet fece un’ultima apparizione – 7 partite – con i Rockford Lightning della CBA, prima di dare l’addio definitivo al basket giocato. Il giocatore, immaginato come uno dei più grandi di sempre, riuscì a giocare solo 441 gare in 10 stagioni NBA e dovette subire ben tre operazioni alle ginocchia.

In seguito Sampson intraprese la carriera da allenatore, come assistente ed head coach, ma non è mai riuscito a sfondare nella nuova occupazione. Scomparso dalle luci della ribalta per qualche anno, ha avuto alcuni problemi giudiziari legati ad alimenti non pagati ad ex mogli.

Il 22 novembre 2011 è stato indotto nella National Collegiate Basketball Hall of Fame, mentre nel 2012 è stata la volta della Basketball Hall of Fame.

Sampson versus Sikma (1986 Seattle Times/Scott Takushi photo)

Sampson contro i Lakers (1986 Seattle Times/Scott Takushi photo)

1988, contro l’ex compagno Olajuwon (Private Collection/print, unknown photographer or credits)

A rimbalzo contro Grant Long dei Miami Heat (1988 Tom Di Pace photo)

1990, con la maglia dei Kings (Private Collection/print, unknown photographer or credits)

 

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